martedì 21 novembre 2023

Ferenc HIRZER


È bravo e intelligente – scrive Renato Tavella sul libro “Il romanzo della grande Juventus” –, il suo gioco taglia come rasoiate il campo e va a incidere, con particolare precisione, nelle difese avversarie. I tifosi si rallegrano. La sua capigliatura rosseggiante volteggia sul prato, la testa alta del campione di razza, il tiro saettante e improvviso, il goal come naturale conseguenza. La Gazzella han preso a chiamarlo, per come si muove sulla corsa lineare e potente, volando a pelo d’erba. L’ungherese, non solo si distingueva per le doti di scattista, ma riusciva a fermare l’attenzione dei tifosi anche al termine di ogni sgroppata quando, con noncuranza, estraeva dal pantaloncino un piccolo pettine e, guadagnato un angolo del campo, riordinava la chioma ondeggiante. Manco fosse un attore, come il compagno di squadra Pastore.

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«Meraviglioso forward dallo scatto velocissimo, dal tiro perfetto e improvviso, segna con facilità e ottimo stile». Così la Gazzetta del Popolo di Torino descrive Ferenc Hirzer, al suo arrivo a Torino nell’estate 1925. Il nuovo enfant prodige della Juventus ha solo 22 anni, eppure è già conosciuto alle platee internazionali, per essere stato in tournée con il Törekvés, squadra di un quartiere di Budapest formata quasi esclusivamente da ebrei e per aver giocato in Boemia (Maccabi Brno) e Germania (Union Altona 03 di Amburgo). Ed ebreo è anche Hirzer, il cui vero cognome è Hires.
Fisico esile, padronanza assoluta della sfera e straordinaria agilità: queste le principali caratteristiche che gli hanno permesso di debuttare 21enne nella nazionale magiara, con la quale ha preso parte ai Giochi Olimpici di Parigi 1924. Dopo il 5-0 alla Polonia, nel quale Hirzer ha segnato una doppietta in 7’, l’Ungheria è però uscita clamorosamente per mano del rapido Egitto (0-3).
A volerlo a Torino è il suo connazionale Jenö Karoly, uno dei primi veri trainers voluti dal senatore Agnelli, che da un paio d’anni è proprietario del club bianconero, dopo un periodo nella dirigenza dell’Unione Sportiva Torinese. Karoly arriva da Savona e porta con sé l’esperto centromediano József Violak (che i giornali italiani hanno italianizzato in Viola): il secondo straniero permesso dal regolamento deve essere un attaccante agile e veloce, in grado di sfruttare al meglio le nuove regole. Il 12 giugno l925, l’International Board ha infatti stabilito che è sufficiente un difensore a tenere in gioco l’attaccante avversario e non due come capitava fino alla fine della stagione 1924-25.
Hirzer, insomma, è l’uomo giusto al momento opportuno: Karoly e Viola fanno da intermediari, ma a Torino c’è chi lo conosce bene: è l’allenatore-giornalista Vittorio Pozzo, che ne ha annotato il nome nel taccuino già il 4 marzo 1923, quando Hirzer, pur non segnando, aveva brillato a “Marassi”, nello 0-0 imposto agli azzurri dai magiari.
L’inizio è scoppiettante: la Juventus, trascinata dalle scorribande in fascia destra di Munerati e dalla prorompenza fisica del centrattacco Pastore, dispone di un potenziale offensivo fenomenale. Hirzer si mette in evidenza come giocatore tecnico e prolifico, rifinisce e segna a raffica, l’aggettivo più utilizzato è “prodigioso”. Fuori del campo è un professionista esemplare, orgoglioso dei suoi riccioli biondi, sempre ben pettinato, mai una piega nel vestito buono.
Il Guerino gioca a paragonare i “divi” del calcio a quelli del cinema muto e Hirzer, nelle caricature di Carlin, viene accostato a Mae Murray (vero nome Marie Adrienne Koenig), attrice e ballerina americana di origini austriache e protagonista de La vedova allegra (1925).
Come Mae Murray, Hirzer danza e ammalia, e soprattutto segna: al debutto ufficiale, Juventus-Parma 6-0 (4 ottobre 1925) si presenta con una tripletta, poi un gol a Padova, due al Milan e all’Alessandria: a fine andata della prima fase, è già a quota 14 centri in 11 gare; la Juventus vola in vetta al girone B.
La cavalcata prosegue nel ritorno: i bianconeri tengono a distanza squadroni del calibro di Genoa, Pro Vercelli e Milan; anche il Padova, squadra-rivelazione degli ultimi anni, si arrende alla Signora che chiude al primo posto con 8 punti sulla Cremonese (seconda) e con 68 reti all’attivo, 29 firmate dallo strepitoso Hirzer. Sulle colonne de Il Calcio di Genova, Vittorio Pozzo, offre una spiegazione tattica al numero dilagante di goals segnati: «La nuova regola dell’offside è la glorificazione, la valorizzazione della teoria secondo cui la miglior difesa è un buon attacco». E aggiunge che le difese italiane faticano a prendere le giuste contromisure.
24 gennaio 1926, Reggiana-Juventus 0-5, «Hirzer ha l’eleganza e il senso di tempo di un danzatore: eppure la sua azione è di una potenza irresistibile», così la Gazzetta del Popolo del giorno dopo.
20 giugno 1926, Juventus-Mantova 8-1, cinque gol di Hirzer; scrive la Gazzetta del Popolo: «Tutte le astuzie e le finezze del più consumato giocatore di football furono da lui riassunte e superate».
Il finale di stagione è un crescendo rossiniano: la Juventus, trascinata dai gol del fuoriclasse magiaro, supera il Bologna dopo tre combattutissime finali di Lega Nord, poi liquida con un perentorio 7-1 e 5-0 i romani dell’Alba e vince, dopo 21 anni d’astinenza, il suo secondo scudetto. Hirzer chiude la stagione con 35 reti in 26 gare.
Dopo l’ultima partita (giocata a Roma il 22 agosto 1926) Hirzer torna in Ungheria per le vacanze e proprio mentre si trova a Budapest viene a sapere che nel suo Paese è stato introdotto il professionismo. Lo cercano MTK e Ferencváros e il Guerino, a firme del direttore Corradini (sotto lo pseudonimo di Gavroche, “monello” in francese), lancia l’allarme: «Veisz, liquidato dall’Inter, spacciandosi per emissario delle grandi società ungheresi, seduce Hirzer, il quale chiede i suoi 20 giorni di congedo, disdice la camera “perché non gli piace più”, insacca nelle valigie le cose sue, da uomo ordinato sistema ogni insolvenza e se ne va. La “Gazzella” non ha più alcuna volontà di abbandonare l’avito loco dove si trova benissimo... Sollecitato dai dirigenti della Juventus, si giustifica affermando che non riesce a ottenere il passaporto. Sembra invece che il passaporto sia stato sostituito da banconote ungheresi di non indifferente peso».
Insomma, antesignano di Diego Armando Maradona, non vuole più rientrare in Italia. A risolvere la situazione ci pensa Viola con un viaggio-lampo a Budapest.
Tuttavia, la stagione 1926-27 non sarà all’altezza della precedente: l’effetto sorpresa finisce, i difensori avversari lo francobollano a dovere e Hirzer chiude con 15 gol, seppure in sole 17 presenze. La Juventus si qualifica per i playoff finali, perde 4 gare e guarda caso in 3 di queste il nome di Hirzer sul tabellino non c’è.
Ma il 10 luglio 1927, giorno del commiato, ha in serbo un regalo speciale per il pubblico juventino. Il Milan viene sommerso sotto un pesante 8-2 e il gioiello bianconero batte per 3 volte il portiere Rossoni: a bordo del campo di via Marsiglia, sceso dalla Fiat 509 Torpedo, tenuto per mano dal nonno, c’è un bambino che fa “oooh”. Ha 6 anni e si chiama Gianni Agnelli e da quel giorno rimarrà folgorato dalla Juve, dal bianconero, ma soprattutto da Hirzer, il prodigioso.
La “Gazzella” giocherà ancora fino al 1932 nell’Hungaria/MTK, tenterà un’altra avventura all’estero con Young Fellows Zurigo per poi finire la carriera in Francia nei cadetti del Saint-Servan/Saint-Malo, ma l’amore per l’Italia lo riporterà nel nostro Paese a guerra finita. Sarà allenatore di Sestrese, Lecce, Spal, Marsala, Castelfidardo, Benevento, Palmese e Aosta. Morirà a Trento, assistito dalla moglie Maria, nell’aprile 1957.

VLADIMIRO CAMINITI, DA “I PIÙ GRANDI”
Dopo l’assassinio del socialista Matteotti, voluto a quanto sembra ormai chiaro, dal duce, l’Italia cambia, prende l’assetto che durerà fino al più tragico conflitto della sua storia, nell’estate del 1925, la Juventus di Edoardo Agnelli ingaggia il celebre attaccante magiaro Ferenc Hirzer, ebreo. Alto, biondissimo, con due occhi azzurri spremuti da una sempiterna inquietudine, Hirzer si inquadra nella «prima» Juventus, una squadra bella e romantica, con le sequenze dei suoi scatti e tiri folgoranti. La Juventus lo aveva acquistato, dopo averlo molto fatto seguire nel Makkabi Brno e nel Torekves, nonché nella sua Nazionale. 
La milizia volontaria fascista, costituita espressamente per difendere la vita di Mussolini, è già nata quando la Juventus vince il suo secondo scudetto. È l’estate del 1926, la Juventus ha il primato della fantasia rispetto a un pur fortissimo Bologna, la squadra che il futuro Avvocato comincia ad ammirare, schiera in porta Combi, ha Bigatto come half cipiglioso, irriducibile come fumatore e come lottatore tutto intabarrato come suole andare in campo, ha in Allemandi un terzino poderoso e in Rosetta il giocatore più strategico, in grado di fare la mezzala quasi bene come il difensore. E al di là del contributo che fino alla tripla finale col Bologna, segnata dall’improvvisa morte per infarto del bravo allenatore magiaro Reno Karoly – ex grande center half ungherese, un innamorato della Italia e dell’opera lirica (soprattutto di Verdi) –, danno i Ferrero, Meneghetti, Torriani, l’altro ungherese Viola e Munerati e Hirzer sono stati determinanti per la conquista dello scudetto. Hirzer «la gazzella» è decisivo nella finale dedicata a Karoly, l’irriducibile Bologna è castigato dai guizzi e dalle fantasie del superbo Ferenc. 
La divisa bianconera, in quei giorni, pretendeva la maglia bianconera infilata sotto la bianca mutanda; Hirzer non rinunziava per civetteria a una cinta per tenere su i calzoncini. Il cervello tattico della squadra era Viola, che fece anche buone prove da opinionista calcistico, ma il suo leader effettivo, il suo giocatore che andava a fare la differenza, segnando e facendo segnare, era Hirzer. Una media gol impressionante, 42 partite e ben 50 gol, bionda «gazzella» del gol, col quale praticamente comincia a sbizzarrirsi la fantasia dei cronisti applicata al calcio. 
Non sarebbe arrivato a godersi la vecchiaia, povero grande Ferenc: dal 1937, vagabondo nell’Europa minacciata dal mostro germanico, e prematuramente strappato alla vita da un atroce destino.

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